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Articolo 25/08/2013
Una sera d'estate. Sugli schermi televisivi compaiono le solite facce che fanno i soliti discorsi: le ferie, come sempre, portano con sé una carenza di notizie. Ma poi, d'improvviso, un annuncio terrificante: un giovane atleta australiano, Christopher Lee di 22 anni, in visita negli Stati Uniti per incontrare la fidanzata, e che si sta allenando al mattino con il suo jogging, viene ammazzato con un colpo alle spalle.
Senza un perché, senza faide tra bande rivali, senza premeditazioni, un perché che si satura da solo perché non ha un perché. Infatti i colpevoli sono tre ragazzi di 17, 15 e 16 anni che hanno ammesso di aver sparato a caso. Caso poi motivato da una realtà amara: "Non avevamo nulla da fare", "Eravamo annoiati".
E qui scattano le domande. Sono colpevoli solo loro o il problema sta anche altrove? Come sono stati educati questi ragazzi? Le famiglie, le strutture sociali le scuole e anche la chiesa cosa hanno trasmesso? Non hanno mete, non hanno valori, non hanno un senso per l'esistenza, né in proprio per raggiungere uno scopo che avvince e affascina, né comunitario che sprona a donarsi. Peraltro, come donarsi se prima non ci si è trovati?
Basterebbe uno sguardo intorno per sentirsi provocati: anziani da aiutare, parchi da tenere in ordine, bambini soli che cercano chi li faccia giocare, malati che attendono una visita. Così la noia non avrebbe invaso la loro giornata e non li avrebbe portati a gesti assurdi.
Ma viene anche da chiedersi se noi adulti abbiamo acquisito e abbiamo saputo trasmettere questo sguardo comunitario, libero e gratuito. Con quale esempio abbiamo saputo trascinare altri in imprese che non coinvolgano solo il successo personale o un cellulare da 6/700 € (metà stipendio mensile di un operaio o di un professore).
Gli affetti di questi giovani colpevoli per immaturità e superficialità forse esistono, ma distorti, mutilati se li hanno fatti arrivare ad un gesto insensato e irreparabile. Forse il dolore per la perdita di una persona cara non li ha mai sfiorati e costretti a prendervi parte, forse sono insensibili perché troppo feriti e indossano dentro una corazza che li vorrebbe proteggere e che invece li perde.
Anche durante l'estate, quindi, ci sono avvenimenti che fanno riflettere: dirsi sconvolti, attoniti, sotto choc è sempre meglio che niente, di una passività egoistica che non si lascia scalfire da niente e da nessuno e persegue solo i propri interessi. Perché qui non vale il discorso: "la cosa non ci riguarda, io che posso fare?". Nessuno è esente perché tutti possono "fare qualche cosa", anche solo cambiare lo stato d'animo e diventare più attenti ed accoglienti.
mons. Gilberto Donnini