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Articolo 28/07/2013

UNA LUCE POTENTE OLTRE LA RAGIONE


Non è esagerato dire che "Lumen Fidei", la prima enciclica di Papa Francesco, appartenga più di ogni altra al ministero del successore di Pietro che è chiamato a confermare i fratelli "in quell'incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo". Il compito affidato da Cristo al suo Vicario è sempre stato svolto tenendo conto delle sfide del suo tempo.
Fin dalle prime righe dell'enciclica si capisce quale è l'orizzonte culturale nel quale Papa Francesco vuole inserirsi. In continuità con il magistero del suo predecessore Benedetto XVI, aiuta a superare l'idea che la fede sia da considerarsi come fatto soltanto privato. Il discorso su Dio che sembrerebbe non essere scientifico; gli stessi simboli religiosi, non solo quelli cristiani che, in nome di una malintesa laicità non dovrebbero più aver posto nella sfera pubblica: la stessa Chiesa cattolica che dovrebbe essere considerata come una semplice istituzione privata.
Tutto questo è una novità , rispetto ai secoli precedenti ed ha la sua origine nel pensiero più vicino a noi. Lo rileva l'enciclica fin dal suo inizio quando registra le obiezioni di tanti nostri contemporanei nei confronti della luce della fede: "Nell'epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l'uomo diventato adulto, fiero della sua ragione". Addirittura è stato pensato che la fede fosse come un'illusione di luce, che impedirebbe "il nostro cammino di uomini liberi verso il domani".
In questo processo, da luce è stata ridotta ad oscurità e buio; così, dove la ragione non poteva più illuminare, si invocava la fede come un supplemento di certezza. Se questo in parte è vero, qualcuno è giunto a non ritenere più necessario né importante lo spazio "oltre" la ragione. Infatti, sarebbe vero solo quanto la ragione può conoscere e l'uomo può fare: questo, alla fine, è ciò che interessa. Così "la fede è stata intesa come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino".
L'enciclica invita a superare alla radice questa cattiva comprensione della fede che porterebbe ad estremizzare: quello che la ragione non giunge a comprendere, lo assicura la fede. Quasi a dire che le fede umilierebbe la ragione e spegnerebbe la ricerca dell'uomo: "E così l'uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada".
Eppure la fede ha un carattere diverso: è capace non solo di aiutare la ragione nel suo faticoso cammino di ricerca, ma anche di illuminare l'intera esistenza. È una luce potente che non procede da noi stessi, ma viene in definitiva da Dio: "La fede nasce dall'incontro con il Dio vivente, che ci chiama e che ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita". Qui troviamo una trave portante dell'enciclica: non solo la fede è in armonia con la ragione, come insegnava il pensiero medievale, ma essa possiede un legame costitutivo con l'amore. Infatti è memoria fondante di quanto Dio ha rivelato e compiuto nel suo Figlio: la morte di Cristo ma anche la sua Resurrezione testimoniano concretamente che Dio nel suo amore è affidabile e opera nella storia.

mons. Gilberto Donnini




















































































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