edicola - articoli
Articolo 29/07/2012
Secondo l'Istat circa il 30% dei matrimoni in Italia finisce con una separazione, e la tendenza sembra in aumento. Il dato, in verità, non stupisce: è sotto gli occhi di tutti come le famiglie, le coppie, gli sposi, attraversino tempi difficili. Se mai, il dato stupisce girato al contrario: il 70% dei matrimoni dura, è stabile; anche questo è un dato di realtà e aiuta a combattere il catastrofismo.
Tuttavia, tornando alla crisi dei matrimoni, considerate certamente le molte cause che si intrecciano - da quelle economiche, lavorative, generazionali e quant'altro - c'è un dato di fondo sul quale vale la pena di riflettere. Riguarda la crisi del "noi", un concetto ed un'esperienza che è alla radice di ogni matrimonio. Si tratta di un dato importante e, tra l'atro, non nuovo: la nostra società è diventata sempre più individualista; il soggetto si percepisce come singolo, non di rado chiuso in se stesso, autosufficiente.
La realizzazione è innanzitutto individuale - e magari coincide con modelli ben pubblicizzati di successo economico, di potere e di immagine - e per essa ogni altra cosa passa in secondo piano. Siamo dei navigatori solitari, che confidano sulle proprie forze, alla ricerca dell'impresa; talvolta ci si accompagna per strada, si formano coppie, ma la meta resta individuale. Nella coppia si cerca la realizzazione del sé, del proprio io.
Questo è il punto: se pensiamo così l'uomo e la donna, il matrimonio diventa facilmente un'alleanza "di passaggio", prende connotati individualistici, pur conditi di affetto, tenerezza e tante altre belle cose.
La prospettiva del "noi", quella cui appartiene la tradizione cristiana e sulla quale si è sviluppata gran parte della cultura occidentale (quella che oggi è in discussione), invece è differente: la persona non è sola in radice, è piuttosto apertura, relazione, dono. L'uomo e la donna diventano "una carne sola", l'io passa in secondo piano e si realizza pienamente solo in questa prospettiva di unione. Il matrimonio non è un'alleanza temporanea, in vista di una meta da conquistare da parte di ciascuno (il benessere individuale), ma la creazione di una realtà nuova e più ricca dell'io, che diventa noi, famiglia, comunità. Non è una diminuzione ma piuttosto l'apertura ad un orizzonte più vasto.
Oggi l'esperienza del noi è in difficoltà. Per i cristiani è un campanello di allarme che riguarda non solo e non tanto la tenuta dei matrimoni, quanto piuttosto la possibilità della stessa evangelizzazione, la capacità di annunziare e testimoniare oggi la Buona Notizia, di farla arrivare agli uomini e alle donne, nelle profondità dell'esistenza. Questa cultura è come il terreno buono, arato, dove seminare e che oggi è in difficoltà, sempre più soffocato da rovi e aggredito dall'asfalto.
Le difficoltà dei matrimoni sono le difficoltà dell'uomo di oggi, che forse una volta di più, ha bisogno di sperimentare qualcuno che si chini su di lui con amore e compassione, rompendo gli schemi e aprendo le finestre su quella "vita buona" promessa e attesa, cercata con fatica e magari talvolta sbagliando strada.
mons. Gilberto Donnini