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Articolo 20/05/2012

SUICIDI E MEDIA


Fino a qualche anno fa c'era una regola non scritta che, in fondo, diceva: tranne nei casi di personaggi noti, in tv (e nei giornali) non si deve dare notizia di suicidi. Tutti gli studi sulla comunicazione di massa hanno sempre rilevato che più si parla di suicidi, presentandoli con un linguaggio fortemente emotivo, più si verificano fenomeni di imitazione.
Molti ricorderanno 20 anni fa, quando tre ragazzi di Prato allo Stelvio (Bz) si uccisero con i gas di scarico dell'auto e lasciarono una lettera con scritto: "Questa vita non ha prospettive". L'episodio ebbe grande eco sui media e, nelle settimane successive, si segnalarono altri casi di suicidio con le stesse modalità. Chi non ricorda i sassi dai cavalcavia o le bottiglie di plastica "siringate" con la varechina? Quando si smise di parlarne, il fenomeno lentamente si esaurì.
E oggi, con la catena dei suicidi legati alla crisi? Di fronte alla tragica contabilità di questi mesi la soluzione è smettere di parlarne?
La questione non è semplice: il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione e la tendenza a far prevalere il diritto/dovere di cronaca, rende difficile ogni tentativo di trattare in modo più sobrio queste vicende. L'Ordine dei Giornalisti della Toscana ricorda di aver "cercato di porre un argine alla pubblicazione indiscriminata di notizie di suicidi; pubblicazioni corredate da foto e da articolate - quanto superflue - informazioni su parentele, relazioni e amicizie degli scomparsi".
C'è chi sostiene che il silenzio tradirebbe le stesse vittime che spesso lasciano biglietti, appelli o scelgono luoghi significativi per esprimere il loro "ultimo grido" di disperazione. Ma non tutti i conti tornano. Secondo l'Istat, numeri e percentuali alla mano, sembra non ci sia nessun "boom" dei suicidi per motivi economici. Certo, il fenomeno esiste ed è preoccupante, tuttavia si tende troppo facilmente a far risalire ogni situazione di disagio sociale, di malattia o di depressione alla crisi economica.
I media, poi, vivono di "temi". Abbiamo avuto le settimane in cui i pitbull non facevano che sbranare vecchi e bambini, poi quelle dell'emergenza immigrati, le pandemie con mucche pazze e galline infette, la criminalità ovunque con assalti alle ville e la gente barricata in casa, ed oggi, purtroppo, la triste contabilità dei suicidi per crisi.
Già nel 2008 l'Organizzazione mondiale della Sanità aveva redatto un testo dal titolo: "Prevenire i suicidi". Conteneva una serie di raccomandazioni con l'invito, fra l'altro, ai media di non presentare il suicidio come un modo ragionevole di risolvere il problemi, di evitare la collocazione della notizia in primo piano, fornendo, invece, informazioni su centri di prevenzione e di aiuto: l'opposto di quel che abbiamo trovato nei media in questi mesi.
Da ultimo, ma da non trascurare, i suicidi per motivi economici sono entrati nel dibattito dei partiti non come tema di riflessione per cercare soluzioni condivise, ma per alimentare polemiche anti-fisco: sembra che anche i morti contribuiscano a costruire il consenso. Nessuna censura, dunque, ma un ripensamento circa il modo di comunicare questi eventi che, comunque, sono uno dei sintomi più preoccupanti di una società sempre più individualista, meno solidale e, in sostanza, priva di speranza nel futuro.

mons. Gilberto Donnini