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Articolo 27/03/2011
Giovedì scorso si è celebrata anche a Varese, nella chiesa di Masnago, la giornata di preghiera in memoria dei "missionari martiri". Una celebrazione annuale ma non rituale, se si pensa che lo scorso anno sono stati 23 gli operatori pastorali uccisi in vari paesi del mondo. Una giornata ispirata al sacrificio di mons. Oscar Romero, Arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980.
Da allora la Chiesa italiana celebra questa giornata facendo memoria dei missionari martiri e "di quanti - ricorda la Fondazione Missio - ogni anno sono stati uccisi perché incatenati a Cristo. La ferialità della loro fede fa di questi testimoni delle persone a noi vicine, modelli accessibili, facilmente imitabili".
Quest'anno, tra l'altro, l'opinione pubblica è stata molto colpita dalla morte violenta di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell'Anatolia, conosciuto anche a Varese dove ha predicato l'anno scorso due ritiri per i sacerdoti del decanato, e di Shahbaz Bhatti, l'unico ministro cristiano del governo del Pakistan, ucciso alcune settimane fa a motivo della sua difesa dei diritti civili e della libertà religiosa, gravemente minacciati dai fondamentalisti del suo paese.
Don Gianni Cesena, direttore nazionale della Fondazione Missio e molto conosciuto a Varese per essere stato Parroco di Valle Olona, ha commentato questa giornata affermando, tra l'altro: "Il martire è per definizione colui che vede interrotta in maniera brusca una parabola di vita, spesso un'esistenza densa di sapienza e di amore, dono di sé. Se è un missionario pare che la missione stessa si blocchi". "Il martire tuttavia - ha aggiunto - non resiste solo nella memoria commossa di chi lo ha conosciuto o nel ricordo dei suoi gesti e insegnamenti: il martire resiste in Cristo. In tal modo diventa segno e fonte di speranza: non ci istruisce tanto la sua morte, ma la sua vita che prima ha vissuto in nome e per conto del Vangelo e ora la vita che sperimenta nel suo compimento, cioè nella relazione salda e definitiva con Gesù, il crocifisso risorto".
Secondo don Gianni, "questo sguardo - che i teologi qualificano come 'escatologico' - non isola il martire, ma lo restituisce ai suoi amici, a chi lo ha conosciuto, a chi ne sente parlare. Non solo il suo passato, ma anche il suo presente è giudizio sul nostro cammino di Chiesa e di missione, è sostegno nelle difficoltà, è regola di vita su ciò che i cristiani devono fare o evitare. Nello scandalo dell'apparente assenza, il martire diventa fondatore di nuove speranze, sorgente di fiducia, messaggio che supera il tempo e lo spazio, parola preziosa per rinnovare la missione".
mons. Gilberto Donnini