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Articolo 20/06/2010
"Signore, benedici l'Africa e innalza la sua gloria. Ascolta le nostre preghiere e benedici noi, suoi figli". Inizia così il celebre inno "Nkosi sikelel' iAfrika" che per oltre un secolo ha dato voce al grido di libertà di diseredati ed oppressi in terra d'Africa: oggi è l'inno nazionale, cantato dalla nazionale di calcio e dai tifosi che stipavano lo stadio di Johannesburg all'inaugurazione dei Mondiali.
Un inno la cui storia rappresenta il percorso recente del Sudafrica: nato come canto religioso nel 1897, venne adottato negli anni venti dall'"African National Congress" (ANC) il partito-movimento protagonista della lotta per l'indipendenza e contro il razzismo nella regione. Zambia e Tanzania indipendenti lo scelsero, con nuove parole, come inno nazionale e Nelson Mandela, divenuto Presidente, lo indicò come inno sudafricano nel 1995.
Proprio in questo passaggio, Mandela ha stabilito uno degli elementi significativi del suo stile politico: l'inno precedente non venne abolito e il Sudafrica mantenne due inni ufficiali per un anno, il tempo per scrivere la nuova costituzione e per far diventare "Nkosi sikelel' iAfrica" un inno che integra quello precedente con strofe nelle principali lingue del Sudafrica. Risolvere l'ingiustizia, cioè, non significa rivalersi sugli oppressori, vuol dire camminare insieme condividendo canti e lingue di ognuno, vivendo una nuova condizione di fratellanza.
All'aeroporto di Johannesburg, i viaggiatori leggono sulla parete degli arrivi una enorme scritta in inglese: "Sudafrica: più di 40 lingue e nemmeno una parola per dire straniero". Non è uno slogan forzato: lo dice il percorso del Sudafrica. Il grado di umiliazione e violenza imposto ai neri raggiungeva vertici paragonabili ai crimini nazisti. Ma, in quel clima, due uomini, Nelson Mandela (vittima della segregazione, incarcerato per oltre vent'anni) e un vescovo anglicano, Desmond Tutu, indicano una via di pace partendo dalla convinzione che solo "dire la verità" permette la riconciliazione e crea diritto e giustizia.
Tutu ha insegnato queste cose sul piano spirituale guidando la Commissione per la verità e la riconciliazione che ha reso pubblico quanto era avvenuto, con confessioni sofferte e terribili che hanno riconciliato il paese, invece di alimentare il rancore. Mandela ha percorso quel cammino con scelte politiche, includendo e mai escludendo. Con loro un terzo nome , a volte dimenticato. Willelm de Klerk, ultimo presidente del Sudafrica razzista, che ha scelto il negoziato con l'ANC ed evitato così un possibile bagno di sangue. Con loro il paese ha costruito la pace.
Oggi le tensioni razziali a volte riaffiorano, ma il loro rumore è più forte della loro consistenza e il Sudafrica esercita un ruolo di guida economica e politica in Africa vivendo i Mondiali come una consacrazione internazionale definitiva. Ma forse non ne ha bisogno: molte Commissioni per la verità e la riconciliazione sono state create nel mondo, soprattutto in America Latina, sull'esempio di quella sudafricana e, con questo, il Sudafrica ha dato alla storia etica e politica un contributo estremamente significativo.
Ricordiamolo quando vediamo i tifosi sudafricani soffiare nelle loro "vuvuzela" e li sentiamo cantare ancora una volta "Nkosi sikelel' iAfrica".
mons. Gilberto Donnini