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Articolo 28/02/2010
Si rimane sorpresi e sconcertati di fronte alle ripetute notizie, in questi giorni, di disonestà e di corruzione nel campo degli affari e della vita pubblica che ci colpiscono anche direttamente in quanto uno di questi episodi si è verificato a Varese.
E non si tratta soltanto - come ipotizza qualcuno - di una recrudescenza pre-elettorale, ci sembra siano la spia di un malessere più profondo che colpisce non solo la vita politica ma anche la vita ed i comportamenti della società intera. Impressionano i dati - resi noti qualche giorno fa - della Corte dei Conti: le denunce per i reati di corruzione sono salite del 229% da gennaio a novembre 2009 rispetto al corrispondente periodo del 2008, e quelle per concussione del 153%. E crediamo sia condivisa dalla gente, come anche dalle istituzioni, la preoccupazione del procuratore generale all'inaugurazione dell'anno giudiziario della magistratura contabile per un malcostume al quale sembra impossibile porre un freno. Di qui anche l'intenzione del governo di mettere in atto misure atte a contrastare una piaga che sembra infettare la pubblica amministrazione.
Ma anche sul piano culturale ed educativo questi episodi suscitano molte inquietudini e molte domande. Quali motivi inducono persone che, a differenza di altre, hanno un lavoro non incerto o precario, a queste derive di tipo etico? E quali conseguenze hanno questi fatti sulle nuove generazioni alle quali si chiede un supplemento di responsabilità nello studio, nel lavoro, nell'impegno sociale? Quanta amarezza ed indignazione nei lavoratori e nelle famiglie che sono in difficoltà o che faticano onestamente per far fronte ai bisogni di ogni giorno?
C'è una domanda forte di rimedi, ma temiamo che questi rimedi saranno scarsamente efficaci se non verranno accompagnati da un supplemento di responsabilità e di onestà, se la società intera non farà riferimento a principi etici, ad atteggiamenti morali condivisi che già di per sé - se diffusi - creano un ambiente sfavorevole ad atteggiamenti disonesti che , se pur prevedibili, troverebbero nel tessuto sociale stesso e prima di eventuali provvedimenti legislativi, una maggiore resistenza. Benedetto XVI, incontrando i parroci di Roma una decina di giorni fa, ricordava che rubare e mentire non sono atti umani "Questo - ha detto - non è vero essere uomini".
Non si vuol dire con questo che, allora, chi occupa posizioni di responsabilità nella pubblica amministrazione e commette atti disonesti, venga in qualche modo giustificato dal fatto che tanto "fanno tutti così". Si vuole invece dire che, di fronte all'invadenza del male, non basterà la rigorosità delle leggi o l'aumento delle pene se non si partirà prima dalla convinzione che questo male si può vincere o almeno limitare innanzitutto con la resistenza attiva del bene. All'esercizio della disonestà si contrappone l'esercizio delle virtù personali e civiche.
E si torna qui anche all'impegno di educare il quale alla luce di questi avvenimenti, trova un motivo ulteriore per essere al centro di scelte politiche e culturali alte, per stare con amore dentro la storia e avendo a cuore il futuro, cioè le giovani generazioni.
mons. Gilberto Donnini