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Articolo 19/10/2008
La prima tentazione è quella di negarlo: il razzismo non esiste. È un fantasma del passato, di cui si cerca, tra l'altro, di sminuire la portata: nessuno si sente razzista e nessuno si considera tale.
In Italia, in pochi anni, sono cambiate tante cose, lasciando in molti la nostalgia per il tempo ordinato di ieri: alcune certezze davano stabilità a una vita che non conosceva inquietudine e ansia. Sul sagrato dei paesi si decidevano le sorti della comunità e l'ombra del campanile pareva indicare la possibilità di un riscatto e di un miglioramento della vita: c'era più tempo e il tempo rispettava il ritmo dell'uomo e delle stagioni.
Oggi non si è mai fermi: con la fretta, sulle nostre strade, si respira una specie di spaesamento, vuoi per la fragilità dei rapporti, vuoi per una crisi economica che minaccia di diventare un'emergenza.
Questa situazione finisce per favorire le chiusure, nel momento in cui ci riscopriamo terra di migrazioni, di mondialità che arriva sull'uscio di casa, di scuole con una nutrita presenza di italiani figli di genitori stranieri. E le paure tendono a spostarsi dalle cause reali di malessere su bersagli che solo remotamente, sempre che lo siano, connessi con la fonte dell'ansia.
"Non sarà che dopo la caduta di un muro, se ne sia scoperto un altro, fatto di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per gli uomini di diversa origine, di diverso colore della pelle di diverse convinzioni religiose?" si chiedeva, già una decina d'anni fa, Giovanni Paolo II. "IL muro dell'affievolimento della sensibilità riguardo al valore della vita umana e della dignità di ogni uomo" si costruisce anche nei piccoli comportamenti, nei giudizi che esprimono fastidio, antipatia e avversione.
Qualche giorno fa il presidente dei vescovi italiani, card. Bagnasco, invitava a "non sottovalutare i segnali di contrapposizione anche violenta" che stanno emergendo qua e là nel paese. Escludere l'altro è giocare in difesa ma, di più, è impoverire la propria umanità. Fa crescere l'inverno dell'indifferenza e del cinismo, un attentato alla propria intelligenza e al proprio cuore.
Come cittadini abbiamo il dovere di contribuire ad un percorso educativo "in vista di risposte sempre civili", ricordava ancora il card. Bagnasco, risposte che non smarriscano la grammatica e l'alfabeto dell'accoglienza e della fraternità. L'integrazione (che non è assimilazione) non sarà né facile né automatica, non è esente da rischi e da ricadute negative, non consente di abbassare l'attenzione nei confronti dell'illegalità e del male. Per crescere, però, ha bisogno di un clima di confronto: l'intolleranza e il razzismo non possono trovare nessuna giustificazione.
Come cristiani, infine, abbiamo il dovere di custodire e offrire a chi arriva nei nostri paesi anche la nostra fede - a partire dalla rivelazione di Dio che ha fatto Gesù - senza che questo significhi opporsi alla professione di una fede diversa dalla nostra.
mons. Gilberto Donnini