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Articolo 13/07/2008

IMMIGRATI E MASS MEDIA


Non c'è bisogno di ricordare come il fenomeno migratorio - e non solo nel nostro Paese - sia oggetto, da molto tempo di una informazione spesso ad effetto e gridata: anche solo con i titoli, si sono trasmessi e si continuano a trasmettere messaggi spesso discutibili, contrastanti e sconcertanti. E, ancora, non ci sarebbe bisogno di esprimere valutazioni su come il pur doveroso racconto di singoli episodi di cronaca nera (qualche volta davvero drammatici) con immigrati protagonisti, abbia influito, per i toni ed i linguaggi scelti, sulla "costruzione" dell'opinione pubblica.
Sembra tuttavia che qualcosa stia cambiando.
Da non molto tempo, ad esempio, di fronte alle centinaia di morti in mare nella disperata ricerca di una vita più umana, ci si è resi conto che non si poteva più utilizzare il termine "clandestini", lasciando quasi il dubbio che si trattasse di "vuoti a perdere"
Alcune analisi, alcune riflessioni si vanno approfondendo. Dal discorso del papa alla diocesi di Roma (tenuto circa un mese fa) è venuto l'appello a costruire una città abitabile anche dai più poveri, dagli immigrati: chiamati tutti a rispettare la legge che la città si è data.
Sull'immigrazione rimane, tuttavia, una questione informativa che non può essere sottovalutata, perché tocca direttamente e profondamente non solo la correttezza dell'informazione, ma anche l'etica professionale dei giornalisti. Si potrebbe dire, oggi, che il mestiere di comunicatore misura la propria statura culturale e morale anche di fronte all'immigrato: questo mestiere viene sempre più interrogato nella sua essenza da una realtà fatta di volti, di sofferenze, di speranze, di impegni e certamente anche di ombre.
Un'informazione che si ostina a proporre l'immigrazione come "un problema" è una informazione che sceglie i meccanismi della semplificazione, piuttosto che quelli di una elaborazione professionale, e quindi culturale, che guarda al futuro a partire dal dato concreto della cronaca di ogni giorno.
Ci si rende ben conto che la professione giornalistica è complessa, ma sappiamo anche che è capace di fermarsi e di riflettere, come è avvenuto, ad esempio, con la "Carta di Treviso" sul delicatissimo rapporto tra informazione e minori.
Un segnale importante sembra venire dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti che, all'inizio di giugno, ha approvato la "Carta di Roma", un protocollo che chiede agli stessi giornalisti di "osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta e i migranti nel territorio della Repubblica italiana e altrove".
Alla raccomandazione, seguono indicazioni di carattere operativo e anche proposte per la formazione dei giornalisti, compresa l'istituzione di premi speciali per l'informazione in ambito migratorio. Sembra ci sia, dunque, la volontà di una svolta e non poteva essere diversamente perché è soprattutto sul terreno della deontologia che si misura e si giustifica un Ordine professionale.
Qui l'Ordine dei giornalisti trova le motivazioni forti per avere riconosciuta quella autorevolezza e quella credibilità che sono al suo fondamento e a fondamento della democrazia e della libertà, qui può riaffermare la propria passione per la verità, essere luogo di un pensiero alto che si pone, con i propri linguaggi e i propri strumenti, dalla parte della dignità di ogni persona e di ogni popolo.

mons. Gilberto Donnini