edicola - articoli
Articolo 26/08/2007
Le notizie sul traffico di questi ultimi mesi assomigliano sempre più a bollettini di guerra. Morti e feriti, famiglie sterminate da qualche incosciente, passanti ignari travolti lungo le strade senza che l'investitore nemmeno si fermi a verificare i danni o a prestare aiuto.
Sempre più spesso si scopre, poi, che gli individui al volante erano preda dei fumi dell'alcool o degli effetti di droghe assunte, probabilmente, per rendere più eccitanti le notti passate in qualche festa o qualche discoteca.
In seguito a questi fatti ripetuti, a livello nazionale e anche in sede locale, le autorità preposte alla circolazione si sono attivate per una serie di controlli, specialmente su coloro che, nel condurre auto o motoveicoli (forse non è inutile ricordare i tanti incidenti che hanno coinvolto anche motociclisti) si dimostrano più "irrequieti".
Un intervento giusto e doveroso ma che da solo non basta se non è accompagnato anche dalla presa di coscienza che chi si mette al volante o alla guida di una moto si assume anche delle responsabilità non solo nei confronti degli altri (perché non si mette in viaggio nel deserto), ma anche di se stesso.
Purtroppo, di fronte al ripetersi di tanti episodi e nonostante i controlli, sembra crescere un senso di impotenza perché mettersi in macchina, affrontare un viaggio oggi appare uno sfidare la sorte: anche la propria prudenza qualche volta non salva dalla follia della velocità ad ogni costo di qualcun altro, dall'irresponsabilità di chi ha fatto della strada una palestra per pericolose esibizioni. Un preoccupante segnale del prevalere di una cultura non rispettosa della vita.
È proprio qui che scatta, allora, l'urgenza di un'etica della responsabilità, della consapevolezza che la propria libertà non può essere assoluta, ma ha dei limiti nella libertà degli altri, nel loro diritto di vivere.
Il recuperare il senso del limite e della misura si prospetta, quindi, come un problema innanzitutto morale: occorre riscoprire quella "etica della strada" indicata, solo qualche settimana fa, dagli Orientamenti del Pontificio Consiglio dei Migranti (intendendo con questo ma tutti coloro che si mettono in viaggio). In questo documento si afferma: "Quando qualcuno guida mettendo in pericolo la vita altrui o quella propria, come pure l'integrità fisica e psichica delle persone, e anche beni materiali considerevoli, si rende responsabile di colpa grave".
Responsabilità, prudenza, cioè, come doveri morali gravi. Uniti, come indicano gli stessi Orientamenti, alla carità e alla giustizia, perché guidare irresponsabilmente è anche questione di amore e di giustizia, nei confronti degli altri e di se stessi.
Un discorso che riguarda certamente e direttamente i guidatori, ma tocca anche chi mette in circolazione macchine in grado di sviluppare velocità più adatte ai circuiti da Gran Premio che alle nostre strade. E riguarda anche coloro che hanno responsabilità educative: è vero, i peccati oggi non sembrano più di moda, ma sarebbe un peccato che, trascurando di insegnare che esistono responsabilità morali, ci andasse di mezzo la vita nostra e degli altri. Perché dopo non basta disperarci sulle bare dei caduti nella "guerra del traffico".
mons. Gilberto Donnini