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Articolo 11/02/2007
Oggi la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Malato per far sentire la vicinanza della comunità a coloro che sono provati dalla malattia e quindi nel rischio dello sconforto, dell'amarezza, se non addirittura della disperazione.
Occorre dire che la scienza medica ha fatto passi da gigante nel combattere la malattia, le sue cause, le sue conseguenze, tuttavia quando da una parte la battaglia sembra vinta, dall'altra si scoprono nuove malattie e quindi si apre il campo di nuove sofferenze. Anche il prolungamento dell'esistenza umana se, da una parte, è segno di migliori condizioni di vita, dall'altra porta con sé la necessità di assistere molte persone anziane, non più in grado di gestirsi da sole: di qui il "boom" delle case di riposo e il bisogno delle "badanti", senza le quali molte famiglie non saprebbero cosa fare.
E forse viene anche dalla scoperta che la malattia non è così facilmente eliminabile e che l'età avanzata porta con sé nuovi problemi, anche la discussione - innescata in questi ultimi tempi - circa "l'accanimento terapeutico" e la richiesta, da parte di qualcuno, di essere "lasciato morire con dignità". Come cristiani, diciamo subito - da una parte - che la vita umana è un bene e quindi va sempre difesa: questo non vuol dire che ci sia una specie di accanimento nella ricerca della sofferenza (anzi gli interventi palliativi atti ad eliminarla non sono solo opportuni ma doverosi) ma che non è accettabile un intervento diretto, volontario per concludere la vita anzitempo (la cosiddetta "eutanasia").
Dall'altra parte occorrerebbe forse precisare cosa si intende per "accanimento terapeutico: è accanimento terapeutico anche un intervento per alimentare ed idratare i malati che non sono più in grado di farlo da soli? Qualcuno dice: sì quando non ci sono più speranze; ma chi decide quand'è questo momento? Il medico? Ma, se le cose stanno così, allora che rilievo ha la volontà del malato di rifiutare cure "sproporzionate"? E poi questa "volontà" va sempre seguita? Penso, ad esempio, ai testimoni di Geova che rifiutano le trasfusioni anche quando sono necessarie per la sopravvivenza: si devono fare comunque o non si devono fare, nel rispetto di quello che viene chiamato "un diritto" del malato?
Una questione, come si vede, tutt'altro che semplice: forse - e lo richiama questa giornata - più che pensare come aiutare il malato a "togliere dignitosamente il disturbo", sarebbe bene cominciare a pensare a come stargli vicino, a come aiutarlo nel passaggio difficile della malattia, a fargli sperimentare il calore di un affetto che gli fa capire che non è solo.
Questi sembrano passaggi cristiani (e umani) possibili ed immediati prima ancora dei dibattiti e delle discussioni. Ed è proprio in questa direzione che il decanato di Varese ha dato l'avvio ad un corso per "operatori pastorali per l'accompagnamento spirituale di persone sofferenti": non è solo un corso per specialisti ma per tutti, perché - purtroppo - prima o poi, ci è capitato o ci capiterà di dover accompagnare una persona ammalata alla quale vogliamo bene.
mons. Gilberto Donnini