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Articolo 21/01/2007
Nei giorni scorsi sono comparse, sui quotidiani locali, le statistiche riguardanti i matrimoni celebrati a Varese nel 2006. Il dato che è stato messo soprattutto in evidenza, riguarda il fatto che il numero dei matrimoni civili e di quelli religiosi si è avvicinato di molto mentre, in precedenza, i matrimoni celebrati in chiesa erano la grande maggioranza. Per stare agli ultimi anni, si è passati da 265 matrimoni religiosi e 111 civili nel 2000 a 190 religiosi e 161 civili nello scorso anno (anche se, a ben guardare, già nel 2001 si erano avuti "solo" 229 matrimoni religiosi e 149 civili).
Un segno di disaffezione, quindi, verso la religione? Dire di sì, a nostro parere, non è così semplice: non è detto che il fatto di non sposarsi in chiesa significhi la completa esclusione della chiesa e della religione dalla propria vita. Per fare un esempio, su 43 battesimi amministrati lo scorso anno nella Basilica di S. Vittore, ben 15 (cioè più di un terzo), sono stati richiesti da genitori sposati civilmente oppure conviventi.
D'altra parte, l'aumento dei matrimoni civili è spiegabile anche con il fatto che non si sposano più soltanto coppie "autoctone", ma aumenta - come rilevato del resto dalla stessa statistica - il numero degli stranieri, alcuni (se non diversi) dei quali non sono cattolici e forse neanche cristiani. Inoltre, tra i matrimoni civili dobbiamo annoverare anche quelli celebrati da persone che cercano una ulteriore chance per il loro matrimonio, avendo divorziato dal precedente coniuge ed essendo, quindi, impossibilitati a sposarsi in chiesa.
Tuttavia il fatto più rilevante (e, se vogliamo, preoccupante) che emerge da questi dati statistici è che negli stessi anni presi in esame, il totale dei matrimoni (religiosi più civili) è passato da 376 nel 2000 a 351 nel 2006 (340 nel 2003, 344 nel 2004 e addirittura 325 nel 2005) con una diminuzione media che si aggira, quindi, intorno al 10%.
Questo può significare che aumenta il numero delle convivenze e vien fatto di chiedersi come mai un numero crescente di persone non si sente più di assumere delle responsabilità contraendo un matrimonio (in chiesa o in comune) che comunque richiede precisi impegni e reciproci diritti e doveri.
Probabilmente esistono anche condizioni oggettive che scoraggiano le coppie a compiere questo passo: ad esempio la precarietà, sempre più diffusa, del posto di lavoro tra i giovani che, quindi, non sono in grado di avere una abitazione ove collocare stabilmente la costituenda famiglia. Da questo punto di vista ci sarebbe seriamente da riflettere su una politica che, a parole, proclama l'importanza della famiglia, ma la scoraggia nei fatti.
Non si può escludere, d'altra parte, anche un'incertezza nell'assumere impegni definitivi che potrebbe essere segno di insicurezza o di mancanza di punti sicuri di riferimento per la vita. Cosa senza dubbio molto più seria di una semplice gara per vedere se "sono in testa" i matrimoni civili o quelli religiosi.
mons. Gilberto Donnini