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Articolo 31/12/2006
Il passaggio da un anno all'altro presenta sempre come due facce: se, da una parte, invita a guardare indietro, a fare bilanci su quello che è stato, d'altra parte apre una prospettiva nuova, "colorata" di speranza, di incertezza e di attesa.
Tanti episodi - tragedie, disgrazie, incidenti, egoismi, violenze - suscitano un atteggiamento di incertezza e di paura; ma, proprio per questo, si fa più urgente, più insistente il bisogno di vita, una vita che soddisfi i bisogni più veri e più profondi di ogni persona come l'amore, la tenerezza, la comunione con gli altri e con il mondo, la solidarietà, la pace.
Ecco anche perché, ormai da tempo, viene riproposto alla nostra attenzione - all'inizio di un nuovo anno - il problema sempre così difficile, ma così decisivo della pace. Il desiderio di pace è forse il desiderio più profondo, più sano, più vero dell'umanità, ma è un desiderio che sembra continuamente frustrato dall'esperienza della paura, della violenza, della guerra.
Anche la pace, quindi, se la vogliamo davvero, deve essere prima di tutto oggetto di fede, chiede di non dichiararsi sconfitti in partenza. Occorre credere alla pace, essere convinti che la pace è necessaria, essere consapevoli che si tratta di un bene fondamentale e quindi bisogna far di tutto per procurarla. Perché la pace non è frutto del caso o di strani e meravigliosi eventi: dipende innanzitutto da uomini e donne di questo mondo.
La pace non può essere soltanto l'accordo tra i forti che smettono momentaneamente di combattersi, cosa che troppe volte ha rivelato la sua inconsistenza: richiede la responsabilità, l'impegno, il sacrificio di ciascuno, chiede di non rispondere colpo su colpo con spirito di rivalsa e di vendetta, ma di trovare le radici di quello che unisce, di eliminare ciò che divide.
Certamente i violenti vanno messi in condizione di non nuocere, tuttavia non possiamo dimenticare che, se non si risolvono tante situazioni di ingiustizia, di sottosviluppo, di sopraffazione, restano poi accese quelle micce che poi provocano esplosioni disastrose per tutti.
Possiamo sperare che ci sarà pace solo se l'umanità saprà riscoprire la sua vocazione ad essere una sola famiglia che basa la sua convivenza (come ebbe a dire già nel 1963 Giovanni XXIII nella enciclica Pacem in terris) sulla verità sulla giustizia, sull'amore e sulla libertà.
L'appello che viene fatto il primo giorno dell'anno alla pace non è, quindi, rivolto ai potenti perché concedano la loro pace al mondo, ma è piuttosto l'appello a ciascuno perché si spogli della mentalità egoistica e violenta e aderisca ad una mentalità di pace.
Questo è l'augurio che ci facciamo.
mons. Gilberto Donnini